Bruce Springsteen è il più grande songwriter americano dopo Burt Bacharach...e nessuno mi farà mia cambiare idea!
Detto questo, il nuovo album del Boss è quanto di meglio ci si potesse aspettare: rock, folk, country, una spruzzata di melodie irlandesi (non dimentichiamoci le radici di Springsteen) e perfino una campionatura hip-hop (sul brano Rocky ground) genere nuovo per il nostro.
Si può dire che si tratti di un concept album sulla distanza che separa la realtà dal sogno americano, uno sguardo sull'America di oggi, sulla crisi, sull'individualismo imperante (sappiamo solo prenderci cura di noi stessi, denuncia We take care of our own).
In un'intervista Springsteen ha dichiarato di essere al lavoro da un anno e mezzo su un altro progetto, ma che allo scoppiare della crisi e parlando con molti suoi amici che hanno perso il lavoro non poteva non raccontare e cercare di capire ciò che stava accadendo intorno a lui. In effetti il CD contiene tre brani che non sono nuovissimi per i fan, mai incisi ma già eseguiti dal vivo; ma a parte questo non sembra di ascoltare canzoni scritte di getto, anzi si tratta del suo lavoro migliore dai tempi di The rising (2002).
Si sente la mancanza del sax del grande Calrence Clemmons (scomparso da poco), e quando arriva in The land of hope and dreams, come un fulmine a ciel sereno, è l'ultima perla ad impreziosire un lavoro perfetto.
Il Boss è tornato!
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