mercoledì 27 giugno 2012

Il razzismo è nel cervello?

E' di ieri- 26 giugno 2012- la pubblicazione di un articolo sulla rivista Nature Neuroscience, da parte di ricercatori della NY University e di Harvard riguardante, riguardo alle reazioni nel cervello quando a soggetti "bianchi" si mostrano immagini di persone "non-bianche". Gli autori, Jennifer T. Kubota, Mahzarin R. Banaji ed Elisabeth A. Phelps, sostengono- sulla base di ricerche e analisi dei risultati ottenuti negli ultimi anni dalle neuroscienze- che, in questi casi,  esistono chiare attivazioni cerebrali dei centri del disgusto, paura e sfiducia.
Infatti, l'area cerebrale che si attiva per prima, l'amigdala, è specializzata in emozioni di carattere negativo. Ma subito dopo, nelle persone socialmente sensibilizzate, si attiva un'area della corteccia cerebrale, nucleus accumbens dorsale, che registra un conflitto: le emozioni negative dell'amigdala non sono accettate dai centri superiori e il sistema cerca di neutralizzarle. Si attiva, quindi, la corteccia prefrontale dorsolaterale che stabilisce il vincitore di questo conflitto tra emozioni negative e socialità.
Si tratta di ricerche ancora agli inizi. La principale autrice della ricerca, la neuropsicologa Jennifer T. Kubota, intervistata da Massimo Piattelli Palmarini per il Corsera, ha detto: "I centri delle reazioni emotive negative sono malleabili e i centri superiori del giudizio e della decisione sono in grado di contrastarli. Le reazioni negative emotive dell'amigdala sono, a guardarci meglio, più collegate al riconoscimento del proprio gruppo che non alla razza in quanto tale. Inoltre, ogni volta che un soggetto rievoca un ricordo e poi lo rinvia di nuovo alla memoria- un processo molto studiato che si chiama reappraisal- il ricordo cambia. Esercitando questo processo, le reazioni anche inconsce cambiano in positivo. Insomma, con un certo sforzo, le reazioni negative subconscie possono essere dominate".
Se è davvero così, il mio augurio è che si punti sempre più verso un'educazione alla diversità ed alla socialità. Infatti, sempre le ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che i comportamenti sociali sono i più efficaci nell'indurre modificazioni strutturali della corteccia cerebrale dei primati e dell'uomo.